Nell’ultimo cinquantennio – e precisamente dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso – gli studi agiografici hanno vissuto un’importante, e a tratti turbinosa, stagione di rinnovamento e sviluppo: l’indagine sui santi e sul loro culto, sui modelli di perfezione che hanno caratterizzato le varie epoche della cristianità e sui testi letterari che li hanno trasmessi ha permesso di raggiungere una comprensione storiografica migliore del complesso fenomeno della santità cristiana. Certamente anche la Commedia di Dante può essere definita come una ‘scrittura sui santi’. Ci appare, anzi, sotto questo profilo, una testimonianza dal valore eccezionale: proprio per il fatto che la Commedia rappresenta il tentativo riuscito di raffigurare poeticamente l’intero «cosmo culturale del Medio Evo latino» (E. R. Curtius), essa ci consegna anche l’immagine nitida di quello che è stato definito – con espressione, in verità, non molto felice – il ‘pantheon santorale’ dell’età di mezzo. Se è soprattutto la terza cantica ad imporsi come il campo naturale per una tale indagine, non va dimenticato che anche l’Inferno, paradossalmente, ha i ‘suoi’ santi (Maria, Giovanni Battista, la martire Lucia, Pietro da Morrone, Zita di Lucca, Francesco d’Assisi). Rileggere queste pagine secondo la prospettiva e i metodi dell’agiografia potrebbe offrire un contributo non banale alla loro comprensione; può anche consentire di verificare quanto la critica dantesca si sia rivelata permeabile alle acquisizioni storiografiche più recenti degli studi agiografici e in che senso, soprattutto, si possa parlare di Dante come ‘agiografo’.