Il contributo esaminerà alcuni aspetti del dispositivo economico-retributivo che governa la logica del Purgatorio: dal primitivo costituirsi di un sistema penitenziale tariffario alla contabilizzazione tardomedievale della gestione canonica dello sconto di pena che alimenta la prassi delle indulgenze.
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L’Inferno si conclude con un’uscita. Finalmente ci troviamo all’aperto a “riveder le stelle.” La prima impressione del nuovo regno nell’ora antelucana prima dell’alba il giorno di Pasqua 1300 è appunto la bellezza del cielo. Oltre a quello che il protagonista può verificare con i propri occhi, con l’invenzione della montagna del Purgatorio nell’emisfero meridionale, il poeta crea quattro punti cardinali con i quali registra il passaggio del tempo sul globo terrestre. Perché quest’attenzione quasi fastidiosa alle fasce orarie di vari punti del mondo? Perché dobbiamo misurarci in confronto con altre località e con altri tempi? Perché dovremmo tener conto di che ora è, non solo per noi, ma per gli altri? I passi astronomici del Purgatorio emergono come lezione di lettura: come leggere il mondo – quello che ci sta davanti e quello che ci sta dietro – con riferimento all’allegorismo medievale e ai suoi quattro livelli di interpretazione.
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Quali potevano essere gli ambienti nei quali si formava la “fama pubblica” sul recente passato raccolta da Dante? Nei ricordi di Guido del Duca (canto XIV del Purgatorio) riconosciamo una conformazione precisa, che trova un riscontro nella cronachistica faentina. L’intervento, anche attraverso la rilettura di alcune testimonianze documentarie, suggerisce di valorizzare l’ambito della curia vescovile di Faenza come luogo di raccolta, rielaborazione e diffusione di notizie, chiacchiere e dicerie romagnole, in precoce contatto con la sfera pubblica fiorentina.
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La foresta descritta negli ultimi canti del Purgatorio ha diversi precedenti letterari, ma Dante innova dall’interno il mito del paradiso in terra, sia per quanto riguarda la collocazione sia per i caratteri che connotano il paesaggio, fondendo in modo del tutto originale la tradizione biblica con la cultura medievale.
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Perché la processione che si dispiega nei canti XXIX-XXXII del Purgatorio, di natura tanto apertamente profetico-visionaria da essere definita “l’Apocalisse di Dante”, appare così poco visionaria, anzi minutamente allegorica e intertestuale? Peraltro, siamo certi che i significati allegorici concordemente riconosciuti alle singole figure dai primi commentatori fino a oggi siano tutti esatti ed esaurienti, o ci sfugge qualcosa? E l’equiparazione profetica di sé a Giovanni ed Ezechiele, che Dante letteralmente si arroga, appare credibile a noi e appariva credibile ai suoi contemporanei? Quale identità autoriale sembrano riconoscere a Dante in questa situazione i primi commenti, con mezzi verbali e iconografici? Queste e altre domande di fondo sono troppo difficili per sperare di trovare loro risposta, ma si tenterà almeno di contestualizzare questo maxi-episodio entro le diversissime forme di visionarietà che si susseguono nel corso del poema.
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